L’adolescenza

Con l’adolescenza avviene in modo spontaneo la messa in crisi delle certezze dell’infanzia: la certezza circa l’onniscienza e l’onnipotenza degli adulti, la certezza sulla univocità della realtà esterna, la certezza sulla semplificazione della vita interiore e la certezza sulla esistenza dello schema di riferimento esterno come guida stabile e sicura (caduta del conformismo).
Nell’adolescenza la realtà esterna è vissuta come deludente, quella interna come angosciante e questo porta a sentimenti depressivi.

Le caratteristiche generali adolescenziali

Nell’adolescenza si presentano quattro tipi di cambiamenti:

  • La completa maturazione fisica
  • Il raggiungimento della maturità sessuale
  • L’acquisizione dello stato di adulto
  • Il conseguimento del pieno sviluppo cognitivo

Nel corso di questo periodo si completa lo sviluppo fisico, anche se i soggetti di sesso maschile, spesso, portano a compimento l’accrescimento somatico nelle epoche successive della vita.

Le notevoli modificazioni che avvengono a livello corporeo possono in alcuni casi portare a dismorfofobia, ovvero la sensazione che il proprio corpo presenti delle anomalie. Questo, talvolta, può determinare un cattivo rapporto con la propria corporeità e compaiono timori legati all’adeguatezza del proprio corpo e portare all’insorgenza di Disturbi del Comportamento alimentare.
In pratica l’adolescente, confrontandosi con i coetanei, ha paura che la sua fisicità non sia adeguata. Inoltre, l’eccessiva magrezza che i personaggi della moda e dello spettacolo esibiscono, sovente, induce la ragazza a non accettare le proprie rotondità, frutto dello sviluppo puberale. Anche per il ragazzo, il prototipo mediatico è un giovane dalle larghe spalle, che presenta un notevole sviluppo della muscolatura. Ciò, spinto alle estreme conseguenze, determina la bigoressia, ovvero un’ossessività che si palesa in esercizi fisici fatti fino allo stremo delle forze.

Lo sviluppo psicologico, cognitivo e morale in adolescenza

In questo lungo ciclo di transizione dall’infanzia all’età adulta entrambi i sessi provano un vissuto di disagio legato essenzialmente a due fattori: l’immagine corporea non è più quella dell’infanzia, ma nemmeno quella dell’età adulta, così come il ruolo sociale. La nostra società non ha un ruolo sociale ben preciso da dare a questi soggetti, che non sono più bambini, ma nemmeno adulti, e li condanna ad una marginalità sociale.

Questa esclusione conduce, sovente, l’adolescente ad una forma di compenso, che è rappresentata dalla ipervalutazione di sé, che può palesarsi, talvolta, in comportamenti spavaldi e aggressivi. L’emarginazione sfocia in uno stato di opposizione sociale, che può esprimersi in comportamenti falsamente trasgressivi, quali fughe da casa, furti negli esercizi commerciali, abuso di sostanze (alcol e droghe), sesso non protetto. Altre volte il disagio derivante da tale condizione si estrinseca in disturbi psicologici (Disturbi del Comportamento alimentare e depressione).


 L’adolescente, la famiglia e i coetanei

Il rapporto fra adolescenti e genitori è animato da due necessità contrastanti:

  • l’esigenza di autonomia;
  • il bisogno di dipendenza.

“…Questa situazione caratterizzata da un ripetuto allontanarsi e riavvicinarsi viene chiamata marginalità psicologica…”

Il ragazzo spesso riesce ad emanciparsi da questa dialettica antitetica attraverso l’identificazione con figure genitoriali positive. Per agevolare ciò i genitori devono essere presenti in maniera non opprimente nella sua vita, lasciandogli ampi spazi di autonomia. La presenza di figure adulte solide e autorevoli aiuta, quindi, l’adolescente a non smarrire la bussola nei momenti di forte contraddizione che egli sperimenta.

La marginalità sociale, che gli adolescenti vivono, li spinge a ricercare fortemente la compagnia di altri marginali sociali, cioè i propri coetanei. Nell’ambito del gruppo dei pari si possono avere diverse aggregazioni:

  • Il gruppo allargato è costituito dagli adolescenti che condividono la stessa reputazione sociale. Tale gruppo può essere caratterizzato dalla ricerca del divertimento a tutti i costi, dall’opposizione verso gli adulti. Di questa aggregazione sociale, di solito, fanno parte i soggetti che hanno un’autostima deficitaria e un rapporto conflittuale con i “grandi”, dai quali si sentono poco considerati.
  • Il piccolo gruppo è formato dagli adolescenti che si riconoscono simili perché condividono delle attività. Esso può essere formale, cioè basato su regole rigide, oppure informale, come quello costituito da ragazzi che condividono gli stessi interessi e trascorrono insieme il loro tempo libero. Spesso i gruppi formali sono promossi dagli adulti. I giovani che fanno parte di questi gruppi formali hanno un’ideologia della vita che si basa sul sistema valoriale tradizionale, hanno un buon rapporto con la propria famiglia e con la propria corporeità, che si estrinseca in una partecipazione alle attività sportive.
  • Un microgruppo sociale importante nell’adolescenza è rappresentato dalla diade amicale.
    Nell’adolescenza l’amicizia assume una grande importanza: infatti, l’amico diventa uno specchio in cui riflettersi. Il concetto di amicizia assume delle connotazioni diverse a seconda del sesso: per i ragazzi essa è una relazione fianco a fianco, cioè un luogo dove si condividono delle attività; per le ragazze è una relazione faccia a faccia, ovvero un luogo dove si spartiscono delle confidenze, dei vissuti emotivi.
    L’adesione ad un gruppo esercita una forte attrattiva sui giovani. Spesso, però, entrarne a far parte non è facile. I gruppi sono caratterizzati dal conformismo dei suoi membri. Infatti, gli appartenenti alla stessa aggregazione hanno in comune il modo di pensare, il vestiario, le abitudini, i luoghi da frequentare. In altre parole, attraverso questa comunanza, ritrovano un’identità collettiva.
    Le relazioni amorose rappresentano un momento importante di crescita per l’adolescente. Attraverso esse, il ragazzo o la ragazza cementano la propria identità, sviluppano le abilità sociali, fugano il senso di solitudine.

Adolescenza, delinquenza, devianza e identità

Nella sua fase iniziale l’adolescenza diventa il picco dei comportamenti antisociali, che tendono a scomparire intorno ai diciotto – venti anni. Solo una piccola parte passa dalla devianza alla criminalità. Questi soggetti, inoltre, sono contraddistinti dall’avere una famiglia incoerente e, durante il periodo della scuola primaria, dall’essere stati rifiutati dai coetanei. È frequente l’esperienza dell’insuccesso scolastico, con anni scolastici ripetuti più volte.

L’aggregazione in gruppi delinquenziali diventa una maniera per superare l’esclusione sociale. In questo caso, l’identità delinquenziale esercita un certo fascino e regala il sospirato senso di appartenenza (Berti e Bombi, op. cit., pag. 369). Secondo De Leo, citato in Stevani (op. cit., pag. 264), la devianza minorile ha una valenza comunicativa, ovvero l’adolescente attraverso essa invia dei messaggi relativi al suo sistema di attribuzioni e di significati.

Uso di sostanze (alcol e droghe) in adolescenza

L’analisi delle abitudini dei giovani rispetto all’uso di sostanze pericolose quali fumo, alcol e droghe mostra che si tratta di un fenomeno in crescita, che sembra interessare fasce sempre più giovani della popolazione.  Secondo i dati dell’ Osservatorio Adolescenti di Telefono Azzurro e DoxaKids (2014), al 50,6% degli adolescenti intervistati dagli 11 ai 19 anni è capitato di bere alcolici; di questi il 49,9% si è ubriacato almeno una volta. Inoltre, sebbene l’alcol rappresenti la sostanza assunta con più frequenza, il 13% dei ragazzi intervistati ha dichiarato di fare uso di droghe (senza distinzione tra “leggere” e “pesanti”), percentuale almeno in parte sottostimata, dato che più della metà dei ragazzi (53,6%) conosce almeno una persona che ne fa uso.

Si tratta di percentuali non trascurabili: infatti, da una parte i ragazzi che vengono a contatto con tali sostanze spesso non ha la percezione del rischio connesso ai danni che esse provocano, dall’altra anche le figure adulte di riferimento possono sottovalutare il fenomeno. I giovani usano spesso queste sostanze per sperimentare sensazioni di piacere e per sentirsi a proprio agio nel trascorrere una serata con i coetanei, eliminando le inibizioni e le barriere psicologiche alle proprie capacità espressive e comunicative, sia fisiche che verbali. Di fronte ad un insuccesso scolastico o ad una lite familiare, per fare qualcosa di diverso in gruppo o al contrario per non sentirsi diversi dai propri amici, per assomigliare agli adulti, per noia, curiosità o desiderio di rilassarsi, molti giovani ricorrono alle bevande alcoliche e alle droghe in generale. Alcool, cannabis e altre sostanze psicoattive sono spesso un mezzo per evitare l’ansia e la paura legate al presente e al futuro.

Inoltre, sembra sempre più raro il consumo che si ferma ad una sola sostanza: il fenomeno del poli-abuso è molto comune e vede gli adolescenti italiani come capofila in Europa (European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction, 2014). Come sottolineato dal Dipartimento Politiche Antidroga (2013), emerge negli adolescenti italiani una tendenza all’uso contemporaneo, all’interno di una stessa occasione – ad esempio una serata in discoteca – di più droghe e quasi costantemente di alcol. La crescente diffusione dell’ abitudine al poli-abuso è confermata dai risultati dell’Osservatorio Adolescenti (Telefono Azzurro e DoxaKids, 2014), secondo cui il 26,4% dei ragazzi intervistati ha visto qualcuno dei propri amici usare alcool e droghe insieme.

I rischi maggiori sono naturalmente quelli per la salute e per la sicurezza, di se stessi e degli altri, a breve come a lungo termine: la ridotta lucidità mentale, il rischio di incidenti stradali, ridotte performance o drop-out scolastico, sviluppo di una dipendenza (da una sola sostanza o mista). I ragazzi non sempre sono consapevoli delle conseguenze negative determinate non soltanto dalle cosiddette droghe “pesanti”, ma anche dalle sostanze considerate “leggere” come la cannabis (peraltro maggiormente diffuse).

Tutte le sostanze psicoattive, inoltre, agendo su un substrato in crescita, possono influire sul funzionamento cerebrale, in particolare delle aree prefrontali deputate ai processi decisionali e alla regolazione emotiva/comportamentale, influendo su abilità molto importanti quali la memoria, l’attenzione e le capacità cognitive generali. Gli effetti sembrano essere tanto più gravi quanto più precoce è l’età in cui si comincia a fare uso di queste sostanze (Potenza, 2013).

Qui puoi trovare un’articolo sull’uso di droghe e alcol negli adolescenti.

Autolesionismo

Questo disturbo del comportamento colpisce per lo più gli adolescenti, a partire dai 13 anni, e in prevalenza ragazze; tra i maschi invece è più frequente nella popolazione carceraria. L’autolesionismo inoltre sembra riguardare soprattutto famiglie socioeconomiche medio-alte.Tra i fattori di rischio, sono da considerare: la presenza di sindromi depressive, l’abuso di alcool e l’inizio dell’attività sessuale. Inoltre l’essere affetti da depressione maggiore, essere stati vittime di abusi sessuali, essere stati testimoni di atti autolesionistici, avere incertezze riguardo al proprio orientamento sessuale sono fattori predittivi di reiterazione degli atti autolesionistici (in adolescenti con orientamento sessuale diverso da quello eterosessuale la frequenza degli atti autolesionistici è 6 volte superiore rispetto a quella negli adolescenti eterosessuali).

Alcune caratteristiche della personalità possono predisporre maggiormente l’adolescente all’autolesionismo o potenziare l’effetto stressogeno di alcuni eventi negativi della vita (es. morte prematura di un genitore, assistere ai violenti litigi dei genitori). In particolare uno spiccato perfezionismo, una marcata impulsività, l’isolamento sociale e la presenza di una relazione genitore-figlio disfunzionale, possono esporre il soggetto alla messa in atto di comportamenti autodistruttivi. Sembra inoltre che l’essere stati oggetto di atti di bullismo sia uno dei fattori predisponenti da tenere in considerazione.

Rabbia e aggressività: modelli di aggressione adolescenziale

L’aggressione territoriale: attuata dal difensore di un territorio che, prima di impegnarsi nella lotta, utilizza comportamenti appariscenti di segnalazione. E’ quanto fanno le bande, soprattutto nelle grandi città: l’abbigliamento o, meglio, la divisa indossata segnala la padronanza di uno specifico territorio. Qualora i segnali non fossero sufficienti, avviene lo scontro.

L’aggressione di predominanza: attuata da individui di rango superiore per mantenere la possibilità di fruire liberamente degli oggetti desiderati, escludendo da ciò la possibile concorrenza. Il ragazzo “più forte”, in termini fisici piuttosto che intellettuali o di prestigio, difficilmente permetterà ad altri di corteggiare la ragazza da lui scelta.

L’aggressione sessuale: messa in atto dal maschio a scopo riproduttivo o per costringere la femmina ad una prolungata convivenza, eventualmente finalizzata alla costituzione di un harem. Purtroppo non è detto che ciò non avvenga anche tra gli umani: spesso “il bello” della compagnia si assume il compito di “marchiarle tutte” e spesso, la competizione tra ragazze le rende docili prede.

L’aggressione disciplinare parentale: in cui i genitori esercitano una moderata aggressività per indurre i piccoli a comportamenti funzionali alla sopravvivenza della specie. Come abbiamo visto, questo avviene in modo confuso, intermittente e, spesso, inefficace.

L’aggressione di svezzamento:attuata dalla madre per spingere i piccoli all’autonoma ricerca di cibo, una volta oltrepassato il limite dello svezzamento. Per certo, questo avviene sempre meno: il progressivo innalzamento del limite cronologico dell’adolescenza ne è una prova.

L’aggressione moralistica: messa in atto qualora uno o più componenti del gruppo non si adattino alle norme del gruppo stesso. Quanto detto a proposito della punizione e dei risultati di un inasprimento delle pressioni normative, ci fa capire quanto sia di difficile attuazione.

L’aggressione predatoria: tesa ad accrescere le possibilità di sopravvivenza della specie. Ripensiamo alle bande e alle lotte tra esse in cui l’aggredito, che inizia con manovre di difesa, trasforma poi i suoi comportamenti in veri e propri attacchi (aggressione antipredatoria).

Come diventare adulti in alternativa all’aggressività?

CAPACITA’ DI DIFFERENZIARE L’AMICO DALL’ALTRO

PASSI PER UNA CORRETTA EVOLUZIONE:AGGRESSIVITA’ RITUALIZZATA
  • prima fase: relativa al rapporto madre-figlio (caratterizzato da supporto e contatto), funzionale all’identificazione del non-nemico;
  • seconda fase: caratterizzata dall’esplicitazione di comportamenti aggressivi concreti nei confronti dei coetanei, in primo luogo con i fratelli;
  • terza fase: relativa ai rapporti con i membri non facenti parte del gruppo, connotata da una crescente inibizione dei comportamenti aggressivi concreti e dall’adozione dei modelli alternativi della competizione, attuata nel dominio rituale e simbolico (Parlato, 1991)

La possibilità di “ritualizzare” la rabbia non basta se l’adolescente ha:

  1. repertorio limitato: per problemi di mancato apprendimento (modelli inadeguati o interferenze emotive tali da impedire l’acquisizione di strumenti adatti);
  2. esperienze di insuccesso reali o, come spesso accade, rispetto ad aspettative troppo elevate oppure, ancora, per dislocazione degli ambiti “di sfida” personale: per esempio, è inutile studiare, se la scuola non costituisce ambito di sfida ma solo “dovere”;
  3. bassa autostima, legata ad uno scarso supporto familiare e sociale, nei suoi elementi fondamentali per l’età: autostima corporea, relazionale, emotiva e, in generale, di auto-efficacia
  4. locus of control esterno, dove il soggetto percepisce gli eventi della sua vita come determinati da altri o, addirittura, dal caso, dal destino.
La rabbia, non sempre, ma spesso nasce dalla scarsa conoscenza di sé e di sé in relazione con il mondo e ciò porta a: AGIRE D’IMPULSO

UN PARTICOLARE COMPORTAMENTO AGGRESSIVO IN ADOLESCENZA:IL BULLISMO (Olweus.1996)

PERCHE’ E’ DIVERSO?

L’intenzionalità: il ragazzo che mette in atto la prepotenza sceglie consapevolmente di aggredire un compagno più debole per trarne un vantaggio personale in prestigio, rispetto e, talvolta, somme di denaro o oggetti di valore.

La sistematicità: il bullismo non è limitato ad episodi isolati, bensì si ripete nel tempo e può persistere anche per svariati anni.
L’asimmetria di potere: la sopraffazione avviene all’interno di una situazione in cui vi è una forte disparità di potere, dovuta alla differenza di forza fisica, di età, o di numerosità nel caso di aggressioni perpetrate da un gruppo di adolescenti. In ogni caso, il bersaglio delle azioni prevaricanti, sia esso un singolo individuo o un gruppo di persone, ha difficoltà a difendersi, trovandosi in una situazione di impotenza rispetto a colui o coloro che lo molestano.

DIFFERENZIAMO:

  1. Il “bullismo fisico” indica quei comportamenti che ricorrono all’uso della forza o al contatto fisico, come picchiare, colpire con pugni o calci, spingere, maltrattare, danneggiare o rubare oggetti.
  2. Il “bullismo verbale” comprende insulti, derisioni, prese in giro ripetute, affermazioni razziste o discriminatorie, offese, ricatti e minacce.
  3. Il “bullismo indiretto” comprende comportamenti che non richiedono un contatto diretto tra aggressore e vittima, quali escludere intenzionalmente la vittima dal gruppo, isolarla, rifiutare di esaudire le sue richieste, ostracismo, diffondere pettegolezzi fastidiosi, dicerie e storie offensive.

BULLISMO COME PROCESSO DI GRUPPO che coinvolge, oltre ai bulli e alle vittime, anche gli altri coetanei che possono assumere il ruolo di assistenti dei bulli (talvolta denominati bulli passivi) o di loro rinforzo, di difensori delle vittime, e infine di spettatori (Menesini, Ciucci, Tomada, Fonzi 1999).

I BULLI

I ragazzi prepotenti sono caratterizzati da un modello reattivo aggressivo associato, se maschi, alla forza fisica (Olweus 1996): esprimono cioè notevole aggressività, verso i coetanei e spesso anche verso gli adulti, sia genitori sia insegnanti. Sono impulsivi, hanno un forte bisogno di dominare gli altri, mentre mostrano scarsa empatia nei confronti delle vittime. L’aggressività dei bulli non nasconde una qualche sorta di debolezza. In genere sono abili nelle attività sportive e di gioco e sanno trarsi d’impaccio nelle situazioni difficili, anche con l’inganno. Essi raggiungono i propri obiettivi e soddisfano i propri desideri a scapito degli altri. Questo ruolo rischia di tradursi nel primo gradino di una sorta di “carriera” deviante (Kumpulainen, Rasanen 2000).

Dalle ricerche condotte finora emerge che circa il 60% degli studenti caratterizzati come bulli durante la scuola, all’età di 24 anni è già stato in prigione almeno una volta (Olweus 1996). I bulli hanno maggiori probabilità di sviluppare disturbi da uso di sostanze ((Kaltiala-Heino, Rimpela, Rantanen, Rimpela 2000), depressione e ideazione suicidarla (Kaltiala-Heino, Rimpela, Marttunen, Rimpela, Rantanen 1999). I bulli vivono in famiglie conflittuali (Schwartz, Dodge, pettit, Bates 1997), dove si esercita una disciplina rigida, solo raramente subiscono atti di violenza diretta nei loro confronti (Smith, Monks 2002). I ragazzi percepiscono il clima familiare come lassista (Menesini, Riannetti, Genta 2002) e poco supportivo, e le relazioni tra fratelli possono essere caratterizzate dalla competizione per dominarsi reciprocamente (Smith, Monks 2002).

LE VITTIME

Le vittime manifestano malesseri somatici e sintomi psicosomatici ((Forero, McLellan, Rissel, Barman 1999; Kaltiala-Heino, et al. 2000; Wolke, Woods, Bloomfield, Karstadt 2001). In adolescenza possono sviluppare disturbi emotivi (Bond, Carlin, Thomas, Rubin, Patton 2001), disturbi alimentari (Striegel-Moore, Dohm, Pike, Wilfley, Fairburn 2002), depressione e ideazione suicidaria (Kaltiala-Heino, et al. 1999). Secondo Smith e Monks (2002) il ruolo di vittima si associa per maschi e femmine a strategie educative materne distinte, rispettivamente, iperprotezione ed ostilità.

GLI SPETTATORI

Gli “spettatori” che ridono e incoraggiano i bulli a continuare nelle loro azioni di prepotenza, più o meno volontariamente, finiscono per sostenere il bullo. Tra questi sono presenti anche ragazzi insicuri che in altre situazioni possono ricoprire il ruolo di vittima.

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© 2016 - Dott. LISA BATTELLI Psicologa e Psicoterapeuta

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