Il mobbing

Negli ultimi anni si sono verificati profondi cambiamenti nel mondo del lavoro, tra cui in particolare, l’avanzare delle moderne tecnologie, nuove forme di contratto e job insecurity, l’innalzamento dell’età pensionabile e il progressivo invecchiamento della forza lavoro, l’intensificazione del lavoro, lo squilibrio tra lavoro e vita privata. Tutti questi fattori hanno determinato l’emergere di nuovi rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, tra cui in particolare i rischi psicosociali. Le mutate condizioni lavorative hanno infatti portato, da una parte alla riduzione o alla scomparsa di alcune malattie da lavoro, dall’altra alla nascita di nuove patologie. Questi nuovi rischi emergenti sono quindi legati al modo in cui il lavoro è organizzato e gestito e al contesto economico e sociale odierno. Si è verificata una crescente consapevolezza che l’esperienza dello stress sul lavoro può comportare delle conseguenze negative per la salute degli individui, nonché per la salute delle organizzazioni. La violenza psicologica sul lavoro è un fenomeno presente in molti ambienti di lavoro, che ha ricevuto un interesse crescente negli ultimi anni soprattutto nell’ambito della medicina occupazionale e della psicologia del lavoro. La crescente insicurezza che caratterizza l’attuale mondo del lavoro determina in alcuni un atteggiamento di maggiore aggressività a difesa di posizioni consolidate, mentre in altri una maggiore vulnerabilità nei confronti di veri o presunti attacchi a situazioni socioeconomiche costruite nel tempo.

Cenni storici e definizione

Il termine Mobbing (dall’inglese to mob: assalire in massa, aggredire, malmenare) viene utilizzato per la prima volta dall’etologo Konrad Lorenz (1963) per indicare il comportamento di animali della stessa specie che si coalizzano contro un membro del gruppo e lo attaccano per escluderlo dal branco. Tale termine fu poi ripreso negli anni Ottanta dallo psicologo svedese Heinz Leymann, il quale lo applicò al mondo del lavoro per designare l’insieme di quei comportamenti assimilabili per violenza e squilibrio di forza a quanto studiato precedentemente dagli etologi (Leymann 1990, 1993, 1996).

Leymann (1996) definisce il Mobbing come:

“una forma di terrorismo psicologico che implica un atteggiamento ostile e non etico posto in essere in forma sistematica da una o più persone, nei confronti di un solo individuo, il quale viene a trovarsi in una condizione indifesa ed è fatto oggetto di iniziative vessatorie e persecutorie. Queste iniziative devono ricorrere con una determinata frequenza (almeno una volta a settimana) e nell’arco di un lungo periodo di tempo (almeno sei mesi di durata)”

Classificazione del Mobbing

Diversi autori hanno cercato di dare una classificazione del Mobbing; Giglioli et al. (2001) ne propongono una che si adatta maggiormente alla realtà italiana e che utilizza come criteri di distinzione i meccanismi patogenetici:

  • Mobbing strategico (o Bossing o Mobbing Verticale/Gerarchico/Trasversale), il quale corrisponde ad un preciso disegno di esclusione di un lavoratore da parte della stessa azienda e/o del management aziendale, che, con tale azione premeditata e programmata, intende realizzare un ridimensionamento delle attività di un determinato lavoratore o il suo allontanamento dal lavoro. Di questa categoria fa parte anche il Mobbing Ambientale o Orizzontale, proveniente dai colleghi di lavoro o da soggetti subordinati alla vittima.
  • Mobbing emozionale o relazionale, il quale deriva da un’alterazione delle relazioni interpersonali, sia di tipo gerarchico che tra colleghi: esaltazione o esasperazione dei comuni sentimenti di gelosia, rivalità, antipatia ecc.
  • Mobbing senza intenzionalità dichiarata, il quale non è dovuto ad una precisa volontà di eliminare o condizionare negativamente un lavoratore; in questi casi un collega di pari grado o un superiore, sentendo minacciata la propria posizione lavorativa, attua molestie morali per tutelarsi. In questo caso l’azienda è responsabile in quanto non in grado sia di individuare tempestivamente tale condizione, che di arginarla e sanarla efficacemente.

Fasi del Mobbing

Il Mobbing è un processo complesso, caratterizzato da dinamismo, e in continua evoluzione; Harald Ege, ha proposto un modello a sei fasi più una pre-fase denominata “condizione zero”:

  • Condizione zero: non è ancora possibile parlare di Mobbing, ma questa situazione, caratterizzata da conflittualità generalizzata, ne rappresenta il presupposto. Non è ancora evidente la volontà di distruggere un particolare lavoratore, quanto piuttosto quella di emergere sopra gli altri.
  • Fase 1: Conflitto mirato. La conflittualità generalizzata viene incanalata verso un obiettivo specifico, emerge dunque la volontà di distruggere qualcuno. Il conflitto non riguarda più solamente il lavoro, ma si dirige anche verso il privato.
  • Fase 2: Inizio del Mobbing. Il conflitto matura e diventa duraturo: le relazioni con i colleghi si inaspriscono e gli attacchi del mobber, che ancora non causano sintomi o malattie psicosomatiche sulla vittima, generano fastidio e disagio.
  • Fase 3: Primi sintomi psico-somatici. La vittima inizia a manifestare un senso di insicurezza e problemi di salute; questa situazione può protrarsi per lungo tempo.
  • Fase 4: Errori e abusi dell’amministrazione del personale. Il Mobbing diventa i dominio pubblico e il caso diviene oggetto di valutazione da parte dell’ufficio del personale .
  • Fase 5: Serio aggravamento della salute psico-fisica della vittima. La salute psico-fisica della vittima subisce un notevole peggioramento. Possono manifestarsi forme depressive più o meno gravi che vengono curate con psicofarmaci o terapie dall’effetto palliativo, in quanto il problema persiste e viene ulteriormente aggravato dalle azioni disciplinari attuate dall’azienda.
  • Fase 6: Esclusione dal mondo del lavoro. La vittima esce dal mondo del lavoro tramite dimissioni volontarie, licenziamento, ricorso al prepensionamento o, nei casi più gravi, suicidio, omicidio o azioni vendicative nei confronti del mobber.

Chi sono le vittime e chi i mobbers?

I protagonisti del Mobbing sono essenzialmente due: il mobber e la vittima. In alcuni casi, poi, gli spettatori ricoprono un ruolo cruciale per lo sviluppo e il mantenimento del fenomeno.

Il Mobber è colui che inizia e continua le azioni vessatorie, esercitando violenza morale sulla vittima designata. Egli ha diverse motivazioni per attivare il Mobbing: paura di perdere il lavoro o la posizione guadagnata, paura di essere surclassato ingiustamente da qualcuno più giovane o più qualificato, antipatia o intolleranza nei confronti di qualcuno in particolare. Il mobber è totalmente privo di capacità empatiche e stabilisce rapporti del tutto utilitaristici; qualsiasi cosa accada sul lavoro non è mai colpa sua ma dell’altro e crede di trarre vantaggio dalla distruzione della vittima ed esistono diverse tipologie di mobber: il collerico, il frustrato, l’invidioso, il criticone, il sadico, l’istigatore, il tiranno.

La vittima è la persona in difficoltà che necessita di aiuto immediato e concreto. Sono persone solitamente sensibili a riconoscimenti e critiche, che investono molto nel loro lavoro, desiderano essere impeccabili, manifestano un presenzialismo patologico sul lavoro, sono molto responsabili e motivate. Quando il Mobbing è in atto, la caratteristica tipica del mobbizzato è l’isolamento: la vittima si sente incompresa e sola di fronte agli attacchi del nemico; spesso mette in dubbio per prima cosa la bontà del suo operato e si sforza maggiormente per soddisfare il suo persecutore, sforzi che generalmente danno nuovi pretesti ai mobber per continuare il loro operato.

Gli spettatori sono tutte quelle persone (colleghi, superiori, addetti alla gestione del personale…) che non prendono esplicitamente parte al Mobbing, ma che vi partecipano indirettamente, lo percepiscono o lo vivono di riflesso. Gli spettatori possono essere divisi in due categorie: spettatori attivi, che aiutano il mobber compiendo a loro volta piccole azioni mobbizzanti, e spettatori passivi, che non compiono vessazioni ma non intervengono neanche in difesa della vittima.

Le azioni del Mobbing

Esistono diverse tipologie di azioni del Mobbing. In Italia si è giunti però a un parere unificato che suddivide tali azioni in quattro categorie:

  • Attacchi contro la persona (umiliazioni, offese, ridicolizzazioni inerenti la vita privata).
  • Attacchi contro il lavoro svolto (critiche e sabotaggi con i quali il soggetto viene privato o, viceversa, sovraccaricato di lavoro).
  • Attacchi contro la funzione lavorativa ricoperta (declassamento, non attribuzione di incarichi…).
  • Attacchi contro lo status del lavoratore (sanzioni fiscali, controlli di idoneità, trasferimenti improbabili, rifiuto di permessi/ferie…).

Infine, un ulteriore oggetto di discussione è il carattere di intenzionalità che sta alla base di tali azioni. Questo aspetto costituisce un elemento chiave per determinare un episodio di Mobbing, insieme anche alla presenza di una relazione asimmetrica fra aggressore e vittima. Le peculiarità necessarie a definire un’azione mobbizzante sono le seguenti:

  • Il conflitto deve avvenire in ambiente lavorativo.
  • La frequenza delle ostilità deve essere di “alcune volte al mese” con diverse eccezioni.
  • La durata delle vessazioni deve essere di almeno sei mesi, tre se gli attacchi hanno cadenza quotidiana o se le azioni appartengono a tre categorie differenti.
  • Devono essere presenti azioni tipiche del processo di Mobbing.
  • Deve esistere un dislivello di potere fra mobber e mobbizzato e quest’ultimo è sempre in una posizione di svantaggio.
  • Il Mobbing deve evolvere nel tempo passando attraverso tappe determinate.
  • Deve esserci da parte dell’aggressore un intento negativo specifico (politico, conflittuale o 
emotivo.

Antecedenti personologici del Mobbing

In letteratura sono ancora pochi e controversi gli studi che hanno esaminato l’impatto delle caratteristiche personologiche della vittima di mobbing su questo fenomeno. Risulta molto complesso, infatti, stabilire un rapporto di causalità lineare tra personalità, vulnerabilità verso le situazioni conflittuali e sviluppo di sintomi come conseguenza delle vessazioni subite nell’ambiente lavorativo. Le vittime e i loro portavoce di solito affermano che il Mobbing sia causato principalmente dalla personalità psicopatica del mobber. D’altra parte, sia i mobber che gli altri colleghi spesso riferiscono che la personalità della vittima e il suo comportamento giochino un ruolo importante nel determinare la vittimizzazione. La maggior parte degli studi concorda sul fatto che persone diverse reagiscono e risentono in modo diverso a condotte di mobbing simili (Davenport et al., 2000). Le vittime possono essere selezionate dal mobber proprio per la loro personalità, in quanto vengono osservate la mancanza di abilità sociali, la tendenza a evitare il conflitto o l’incapacità di farvi fronte. Oltre a questo, la vittima può provocare il mobber con comportamenti aggressivi. Anche se la personalità del soggetto mobbizzato non può spiegare la vittimizzazione, è certo che essa determina il modo in cui la persona sperimenta e interpreta gli episodi di mobbing e le sue capacità di padroneggiare i problemi che si presentano nell’ambiente lavorativo.

Antecedenti organizzativi del Mobbing

Il Mobbing è un fenomeno con un’eziologia multifattoriale; tra le diverse cause, in tutti i casi studiati sono stati riscontrati problemi relativi all’organizzazione del lavoro, alla qualità del management e allo stile di gestione dei conflitti. Le persone coinvolte in questo fenomeno sperimentano carenze nel posto di lavoro e nel clima organizzativo: nei luoghi di lavoro in cui si l’atmosfera generale viene descritta dalle vittime come opprimente, competitiva, dove ognuno persegue i propri scopi. Le vittime denunciano la mancanza di possibilità di influenzare questioni che le riguardano e la scarsità di informazioni e di scambi verbali attinenti a compiti e scopi. Risulta difficile capire dove finisce una gestione manageriale rigida e dove inizia il Mobbing. Infatti in alcune aziende con elevata competizione interna e forte pressione per raggiungere i risultati, in cui predominano modalità relazionali basate sull’aggressività, alcuni tipi di comportamento assimilabili al Mobbing vengono accettati dai membri del gruppo lavorativo. Inoltre, in altre aziende vengono tollerati comportamenti normalmente inaccettabili se questi vengono messi in atto da persone che occupano una certa posizione gerarchica al suo interno. Infine, il Mobbing può essere intenzionalmente perseguito dall’azienda come strategia specifica di gestione del personale (in questo caso si parla di ‘bossing’). Tuttavia, nella maggior parte dei casi, viene agito da colleghi, capi o sottoposti per svariate ragioni (dall’ambizione, alla gelosia, alla semplice antipatia personale); in questi casi, il fenomeno si sviluppa completamente all’insaputa della direzione aziendale.

Lo straining: una sottomissione feroce

È chiaro che associare al termine Mobbing ogni azione vessatoria subita da un lavoratore e agita da parte di un collega o di un superiore è ormai abitudine comune. Chi, anche grossolanamente, si occupa di disagio nelle relazioni in ambito lavorativo, è a conoscenza di questo fenomeno e delle sue forme, attribuendone giustamente connotazioni negative, riferite ovviamente a quanto di più dannoso possa esserci per una persona che opera nel proprio ambiente lavorativo. Lo Straining, altro termine per definire qualcosa di malevolo che si perpetra nelle sedi lavorative e che può colpire chiunque. Viene definito come:

una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima subisce almeno un’azione ostile e stressante, che ha come conseguenza un effetto negativo costante e permanente nell’ambiente lavorativo. Il lavoratore strainizzato è ridotto in uno stato di persistente inferiorità rispetto alla persona che compie l’atto vessatorio, ciò avviene sempre in maniera discriminante.

In sostanza, si parla di Straining come di una situazione lavorativa conflittuale in cui la vittima ha subito azioni ostili limitate nel numero e/o distanziate nel tempo (e quindi non rientranti nei parametri del mobbing, in cui non è previsto un limite di azioni e devono accadere per almeno sei mesi); tuttavia tali da provocarle una modificazione negativa costante e permanente della propria condizione lavorativa.  È una condizione di profondo disagio lavorativo dovuto a demansionamenti, privazioni degli strumenti di lavoro, isolamento professionale e relazionale e trasferimenti illegittimi. Pur non essendo mobbizzati, le vittime di queste situazioni presentano ugualmente serie ripercussioni non solo sulla salute in senso stretto, con sintomi psicosomatici anche gravi, spesso sconfinanti nella patologia vera e propria, ma anche a livello di autostima e di qualità di vita in senso lato. Lo Straining in effetti è un fenomeno che potrebbe essere facilmente scambiato per un semplice caso di “stress occupazionale”, se non fosse per il fatto che la vittima di solito lo percepisce come Mobbing, data l’alta componente di intenzionalità e di discriminazione.

Caratteristiche dello Straining

Per rilevare una situazione di Straining deve essere presente e attestata:

  • almeno un’azione ostile, che abbia una conseguenza duratura e costante a livello lavorativo e un carattere intenzionale e discriminatorio. La vittima di Straining, dunque, deve aver subito almeno un’azione negativa che non si è esaurita, ma che continua a far sentire i suoi effetti a livello lavorativo a lungo termine e in modo costante (per esempio un cambio di mansioni e/o di qualifica, uno spostamento/trasferimento penalizzante, una perdita di chance, la soppressione di un bonus, etc).
  • la vittima dello straining deve poi essere confinata in una posizione di costante inferiorità rispetto ai suoi aggressori: essa non ha più le stesse capacità e possibilità di azione e di gestione del conflitto rispetto a prima e rispetto ai suoi aggressori e quindi non è più in grado di tutelare i propri diritti.
  • l’azione ostile deve avere carattere intenzionale e discriminatorio, ossia deve essere deliberatamente predisposta ai danni di una certa persona o di un certo gruppo di persone, a cui deve essere riservato un trattamento diverso, in senso negativo, rispetto agli altri.
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© 2016 - Dott. LISA BATTELLI Psicologa e Psicoterapeuta

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